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martedì 1 novembre 2016

Lettera aperta dal confino. di Fabio Gabaglio

Lettera aperta dal confino
Altrove
14 ottobre 2016
Buongiorno a tutti,
Sono Fabio Gabaglio, ieri mattina mi è stato notificato un “foglio di via” da Como della durata di
un anno.
In questo atto mi si accusa di avere preso parte ad una manifestazione non autorizzata in cui si
denunciava la complicità della ditta di trasporti Rampinini nella deportazione dei migranti, di essere
una persona socialmente pericolosa e di frequentare la città di Como col solo scopo di compiere
reati.
Dal luglio scorso, quando la città di Como si è trovata al centro di quella che è stata definita
“emergenza migranti”, ho iniziato ad interessarmi a quanto stava accadendo tra il confine Italo-
Svizzero e la stazione di Como san Giovanni. Una sorte ironica fece che tutto il mio tempo libero,
ferie incluse, lo trascorsi in quello che è anche un mio luogo di lavoro, in quanto di mestiere sono
Macchinista Ferroviere.
La storia è nota, ma non è mai superfluo ripeterla: L'autorità doganale svizzera chiude quasi
completamente le dogane ai numerosi profughi che tentano di attraversarla e ai richiedenti asilo che
vi si vorrebbero insediare, e a Como si crea quindi un ingorgo e l'accampamento che tutti abbiamo
conosciuto.
Chi cerca di passare il confine viene respinto a piedi sul suolo italiano nel migliore dei casi,
altrimenti viene deportato nei centri di smistamento del sud Italia, Taranto quasi sempre.
Con alcuni sodali decido esprimermi e spendermi sulla questione dando un apporto politico
all'enorme e meritorio sforzo civile che la città, la parte migliore della città, ha profuso per dare ai
“Ragazzi” un' accoglienza dignitosa, un trattamento umano e un sostegno materiale.
Il mio proposito aggiuntivo è quello di animare il dibattito generale sulla questione migratoria,
ponendo degli interrogativi politici sugli interessi che influenzano la gestione dei flussi ed
evidenziando le innumerevoli contraddizioni che ne emergono.
Per farlo in modo organico, occorreva però toccare con mano le questioni, conoscerle a fondo, e
mediante l'inchiesta, guadagnarsi la libertà di parola, il titolo di potersi esprimere a ragione veduta.
La prima iniziativa per cui mi spesi in prima persona fu il 7 agosto, una giornata di giochi, sport e
socialità.
Bastarono quattro palloni, un paio di canestri da basket, e una merenda collettiva per scoprire che
quello che ne sarebbe seguito sarebbe stato molto di più della semplice inchiesta politica, ma
sarebbe diventato anche una relazione di profonda amicizia, di empatia, di auto-riconoscimento.
Fu in questo contesto di confronto virtuoso che si decisero le molte e diverse iniziative messe in
campo, tra le quali la lettera aperta che i migranti scrissero alla città, il presidio tenuto a
Pontechiasso, dove decine di migranti reclamarono il loro diritto di superare il confine e di non
essere trattati da animali, e il corteo del 15 settembre, forse il più bello che nei miei trent'anni (molti
dei quali vissuti da militante politico) possa ricordare, e per il quale personalmente chiesi
l'autorizzazione alla questura.
Quel corteo per me fu una scommessa: 500 persone dalle più diverse sensibilità ed esperienze,
migranti in testa, veicolavano il messaggio lanciato dall'appello, “Il campo non è una soluzione,
aprite il confine!”.
Rimandate al al mittente le provocazioni dei fascisti che minacciarono costantemente la coda del
corteo, disattese le aspettative allarmiste di chi paventava la calata dei barbari in città, dissolta la
coltre di terrore imposta dallo sproporzionato spiegamento di militari, il corteo, fortemente
comunicativo, sfilò per la città senza intoppi. La scommessa fu vinta.
Il clima tuttavia cambiò repentinamente quando aprì il campo governativo, la non-soluzione sulla
quale sollevammo tanti dubbi e contro la quale gli stessi migranti si sono sempre espressi.
Nei giorni immediatamente precedenti alla sua apertura la solidarietà iniziò ad essere sempre più
criminalizzata, cucinare o portare cibo divennero pretesti per far intervenire la polizia, le docce e la
mensa vennero chiuse, e i migranti, in un paio di giorni, furono costretti a lasciare i loro ripari di
fortuna per entrare nel campo governativo.
Lo stato così ha ripreso il controllo della situazione anche fuori dal campo, tutto quello che prima
era socialmente accettato e tollerato, ora è proibito.
Distribuire cibo, incontrare, parlare con chi ha l'aspetto di un rifugiato, porta ad essere identificati,
intimiditi, segnalati.
Ora al sottoscritto, come ad altri attivisti, viene presentato il conto per il ruolo attivo tenuto in tutto
questo.
Il foglio di via, nella fattispecie, è una misura preventiva di natura fascista, in cui il questore, senza
una vera e propria indagine, senza un processo e senza la possibilità di difesa, intima
arbitrariamente al destinatario di non fare ritorno su un determinato territorio, riconoscendo in lui
una presunta pericolosità sociale.
Nel mio caso, accade che ieri, 13 ottobre, mentre presenziavo in qualità di uditore alla conferenza
stampa tenuta dalla rete di “Como senza frontiere” di fronte al campo governativo vengo avvicinatoda alcuni funzionari di polizia che mi intimano di presentarmi in questura per notificarmi un foglio di via obbligatorio che mi inibisce dal fare ritorno nel comune di Como per un anno.
Se esprimere questo, senza chiedere il permesso a chi quelle stesse deportazioni le dispone e le
realizza sia più vergognoso dello stesso compierle, lo lascio decidere a voi.
Questo foglio di via mi descrive inoltre con l'infamante appellativo di “persona socialmente
pericolosa”, che usa frequentare Como “col solo scopo di commettere reati” e di accompagnarmi a
persone già oggetto di “segnalazioni all'autorità giudiziaria.”
Ebbene, con questo foglio di via, la questura, l'apparato immunitario dell'ingiusto sistema politico-
legale che abbiamo di fronte, pone nella mia vita un ostacolo giuridico che si frappone tra me ed i
miei propositi che lascio a voi giudicare.
Lungi dal voler elemosinare la pietà di alcuno, io credo che il mio dovere, a fronte di quello che mi
è toccato, sia in primis mettere in guardia ognuno di voi: quello che oggi si abbatte su di me,
domani potrebbe succedere ad altri.
Quando il divario tra legalità e giustizia si fa cosi sfacciatamente evidente tutti sono chiamati a
prendere una posizione. Ed è quello che io ora vi chiedo.
Grazie della vostra attenzione.
La parte più bella di questa città rifiuta il razzismo e l'indifferenza, e io sono (ancora) lì.
Fabio Gabaglio

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