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giovedì 24 novembre 2016

Per ora funziona

Peppone e Don Camillo, ovvero la favola del "Sindaco messo di traverso"

La foto è de La Prealpina.



giovedì 10 novembre 2016

Importanza della formazione


Segnaliamo questa importante iniziativa che si terrà a Como i giorni sabato 12 e 16 novembre

 Slide prima parte seminario


Slide prima parte seminario

Slide seconda parte del seminario

I richiedenti asilo a Saronno: Problema rimandato è mezzo risolto

Postato su LA7 Facebook il 10 nov. 2016
Ieri la coordinatrice delle 15 associazioni saronnesi che si riconoscono in "4 Passi di Pace" ha ricevuto telefonicamente l'invito di un giornalista di LA7 (L'aria che tira) per l'ennesima intervista in merito agli ormai famosi 32 richiedenti asilo che sarebbero dovuti arrivare a Saronno. Non è la prima volta che un'emittente nazionale si interessa della cosa ma, come negli altri casi, prima delle interviste era già pronto il pezzo: il Prevosto auspica l'arrivo, il sindaco leghista si mette "di traverso". La coordinatrice ascoltata la solita solfa, ha declinato l'invito. Ci saranno sicuramente stati altri a confermare la favoletta di Peppone e Don Camillo. Così, ancora una volta, pur essendo a conoscenza dei fatti, non si sarà detto il vero: gli immigrati non arrivano a Saronno perché nessuno li vuole. Neanche le suore che, a scanso di equivoci, dicono di voler vendere il locale. Da maggio ad oggi nessuna altra possibilità è stata avanzata dalla Chiesa di Saronno: problema rimandato è mezzo risolto.
Cesare


martedì 1 novembre 2016

Rapporto dal campo profughi di Como. di Carlo Mantegazza

Abbiamo ricevuto questo rapporto da Carlo Mantegazza che,  fin dal mese di luglio di quest'anno, sta seguendo come volontario indipendente la tragedia dei migranti respinti dalla Svizzera e bloccati a Como. A Como come a Saronno, come a Gorino e in tanti altri posti in Italia, si manifesta in tutta la sua gravità la mancanza di una cultura dell'accoglienza e l'inefficienza delle istituzioni nazionali ed europee, difronte a quello che sta diventando il punto di scontro tra due diversi modi di concepire la politica e la vita sociale.


Ciao Cesare,con un po' di ritardo ti invio qualche parola sulla situazione riguardante il campo migranti a Como e con essa ti allego anche una bellissima lettera scritta da un ragazzo a cui è stato consegnato un foglio di via.

A presto

Carlo

Dai primi giorni di luglio nei pressi della stazione san Giovanni a Como hanno iniziato a divenire sempre più numerosi gli accampamenti di migranti respinti alla frontiera Svizzera, in viaggio alla ricerca di un luogo in cui venga finalmente riconosciuta quella dignità umana loro negata nei propri paesi d’origine.
Volontari più o meno indipendenti si sono fatti quasi completamente carico di prestare loro assistenza, in attesa di una quantomeno lenta risposta istituzionale, per i mesi che hanno preceduto l’apertura di un campo governativo nella seconda metà di settembre.
Mentre al confine i diritti di molti venivano arbitrariamente calpestati a detta di vari osservatori nazionali ed internazionali e la situazione dei migranti in stazione era resa ancor più precaria da condizioni igieniche decisamente inadeguate e un’informazione legale a dir poco insufficiente e non organizzata.
Oggi il campo gestito da croce rossa italiana ospita da 300 a 400 persone, garantendo un riparo notturno a chi riesce ad accedervi, non sempre senza difficoltà, troppo spesso a causa della rigida applicazione di un regolamento mai reso pubblico, se non per la sua continua “evoluzione”.
Appena 3 giorni fa una famiglia palestinese con almeno 8 bambini sarebbe rimasta di notte sotto la pioggia se la parrocchia di Rebbio non fosse intervenuta contattando comune, prefettura e media e garantendo ospitalità a due dei suoi componenti che non possedevano i requisiti per l’accesso, che, stante la capienza “logistica” giunta al limite, erano garantiti, oltre che ai bimbi, solo ai relativi genitori. (Provo a tradurre: lo spazio si sarebbe potuto anche trovare, ma … se la legge non lo impone… )
Nessun tipo di attività ricreativa o educativa si è fino ad ora svolta al di qua o al di là del suo cancello, aperto all’esterno pressoché ai soli volontari Caritas e croce rossa, a loro volta apparentemente chiusi dalle maglie del solito “inderogabile” regolamento.
A molti ragazzi sono stati persino consegnati dei fogli di via, che impediscono loro l’accesso alla città, pena da 1 a 6 mesi di reclusione, per essersi esposti in solidarietà ai migranti contro decisioni ritenute inopportune prese dalle autorità preposte alla gestione dell’emergenza (non conoscendo i fatti nei dettagli rimanderei per questo al testo di una lettera da uno di loro diffusa), altri si è provato a intimidirli.
Nonostante questo, diverse associazioni comasche si stanno comunque attrezzando, e finalmente grazie alle risorse da loro messe a disposizione, a breve dovrebbero avviarsi diverse iniziative a partire da un corso di lingua italiana.
Così come, con l’arrivo dell’inverno, rispondendo finalmente alle insistenze di queste o semplicemente al buon senso, la prefettura, si è decisa a prenderà in considerazione un’accoglienza maggiormente diffusa sul territorio per quanto riguarda 100 minori, che troveranno alloggio in diverse strutture di cui sarà preventivamente accertata l’idoneità.
Evitando possibili illecite commistioni con gli altri ospiti, l’ulteriore aggravio di indisponibilità “reali o logistiche” ed in particolare, garantendo loro condizioni decisamente più adeguate. (“persino” in accordo agli standard)
L’assistenza legale ancora tarda però a rendersi efficace e si spera che con l’avvicinarsi del freddo ci si organizzi per riuscire a dare un’accoglienza più dignitosa a chi, donne e minori compresi, non trova ora che un paio di coperte, lasciate da alcuni cittadini sotto un porticato, per ripararsi dalla notte, contro un’ordinanza, ovviamente disattesa, che impedirebbe a chiunque persino di accamparsi sul territorio comasco…
qualcuno ci sta già pensando…

e se solo provassimo ad ascoltarci a vicenda, forse qualche passo riusciremmo anche a farlo…insieme…

Lettera aperta dal confino. di Fabio Gabaglio

Lettera aperta dal confino
Altrove
14 ottobre 2016
Buongiorno a tutti,
Sono Fabio Gabaglio, ieri mattina mi è stato notificato un “foglio di via” da Como della durata di
un anno.
In questo atto mi si accusa di avere preso parte ad una manifestazione non autorizzata in cui si
denunciava la complicità della ditta di trasporti Rampinini nella deportazione dei migranti, di essere
una persona socialmente pericolosa e di frequentare la città di Como col solo scopo di compiere
reati.
Dal luglio scorso, quando la città di Como si è trovata al centro di quella che è stata definita
“emergenza migranti”, ho iniziato ad interessarmi a quanto stava accadendo tra il confine Italo-
Svizzero e la stazione di Como san Giovanni. Una sorte ironica fece che tutto il mio tempo libero,
ferie incluse, lo trascorsi in quello che è anche un mio luogo di lavoro, in quanto di mestiere sono
Macchinista Ferroviere.
La storia è nota, ma non è mai superfluo ripeterla: L'autorità doganale svizzera chiude quasi
completamente le dogane ai numerosi profughi che tentano di attraversarla e ai richiedenti asilo che
vi si vorrebbero insediare, e a Como si crea quindi un ingorgo e l'accampamento che tutti abbiamo
conosciuto.
Chi cerca di passare il confine viene respinto a piedi sul suolo italiano nel migliore dei casi,
altrimenti viene deportato nei centri di smistamento del sud Italia, Taranto quasi sempre.
Con alcuni sodali decido esprimermi e spendermi sulla questione dando un apporto politico
all'enorme e meritorio sforzo civile che la città, la parte migliore della città, ha profuso per dare ai
“Ragazzi” un' accoglienza dignitosa, un trattamento umano e un sostegno materiale.
Il mio proposito aggiuntivo è quello di animare il dibattito generale sulla questione migratoria,
ponendo degli interrogativi politici sugli interessi che influenzano la gestione dei flussi ed
evidenziando le innumerevoli contraddizioni che ne emergono.
Per farlo in modo organico, occorreva però toccare con mano le questioni, conoscerle a fondo, e
mediante l'inchiesta, guadagnarsi la libertà di parola, il titolo di potersi esprimere a ragione veduta.
La prima iniziativa per cui mi spesi in prima persona fu il 7 agosto, una giornata di giochi, sport e
socialità.
Bastarono quattro palloni, un paio di canestri da basket, e una merenda collettiva per scoprire che
quello che ne sarebbe seguito sarebbe stato molto di più della semplice inchiesta politica, ma
sarebbe diventato anche una relazione di profonda amicizia, di empatia, di auto-riconoscimento.
Fu in questo contesto di confronto virtuoso che si decisero le molte e diverse iniziative messe in
campo, tra le quali la lettera aperta che i migranti scrissero alla città, il presidio tenuto a
Pontechiasso, dove decine di migranti reclamarono il loro diritto di superare il confine e di non
essere trattati da animali, e il corteo del 15 settembre, forse il più bello che nei miei trent'anni (molti
dei quali vissuti da militante politico) possa ricordare, e per il quale personalmente chiesi
l'autorizzazione alla questura.
Quel corteo per me fu una scommessa: 500 persone dalle più diverse sensibilità ed esperienze,
migranti in testa, veicolavano il messaggio lanciato dall'appello, “Il campo non è una soluzione,
aprite il confine!”.
Rimandate al al mittente le provocazioni dei fascisti che minacciarono costantemente la coda del
corteo, disattese le aspettative allarmiste di chi paventava la calata dei barbari in città, dissolta la
coltre di terrore imposta dallo sproporzionato spiegamento di militari, il corteo, fortemente
comunicativo, sfilò per la città senza intoppi. La scommessa fu vinta.
Il clima tuttavia cambiò repentinamente quando aprì il campo governativo, la non-soluzione sulla
quale sollevammo tanti dubbi e contro la quale gli stessi migranti si sono sempre espressi.
Nei giorni immediatamente precedenti alla sua apertura la solidarietà iniziò ad essere sempre più
criminalizzata, cucinare o portare cibo divennero pretesti per far intervenire la polizia, le docce e la
mensa vennero chiuse, e i migranti, in un paio di giorni, furono costretti a lasciare i loro ripari di
fortuna per entrare nel campo governativo.
Lo stato così ha ripreso il controllo della situazione anche fuori dal campo, tutto quello che prima
era socialmente accettato e tollerato, ora è proibito.
Distribuire cibo, incontrare, parlare con chi ha l'aspetto di un rifugiato, porta ad essere identificati,
intimiditi, segnalati.
Ora al sottoscritto, come ad altri attivisti, viene presentato il conto per il ruolo attivo tenuto in tutto
questo.
Il foglio di via, nella fattispecie, è una misura preventiva di natura fascista, in cui il questore, senza
una vera e propria indagine, senza un processo e senza la possibilità di difesa, intima
arbitrariamente al destinatario di non fare ritorno su un determinato territorio, riconoscendo in lui
una presunta pericolosità sociale.
Nel mio caso, accade che ieri, 13 ottobre, mentre presenziavo in qualità di uditore alla conferenza
stampa tenuta dalla rete di “Como senza frontiere” di fronte al campo governativo vengo avvicinatoda alcuni funzionari di polizia che mi intimano di presentarmi in questura per notificarmi un foglio di via obbligatorio che mi inibisce dal fare ritorno nel comune di Como per un anno.
Se esprimere questo, senza chiedere il permesso a chi quelle stesse deportazioni le dispone e le
realizza sia più vergognoso dello stesso compierle, lo lascio decidere a voi.
Questo foglio di via mi descrive inoltre con l'infamante appellativo di “persona socialmente
pericolosa”, che usa frequentare Como “col solo scopo di commettere reati” e di accompagnarmi a
persone già oggetto di “segnalazioni all'autorità giudiziaria.”
Ebbene, con questo foglio di via, la questura, l'apparato immunitario dell'ingiusto sistema politico-
legale che abbiamo di fronte, pone nella mia vita un ostacolo giuridico che si frappone tra me ed i
miei propositi che lascio a voi giudicare.
Lungi dal voler elemosinare la pietà di alcuno, io credo che il mio dovere, a fronte di quello che mi
è toccato, sia in primis mettere in guardia ognuno di voi: quello che oggi si abbatte su di me,
domani potrebbe succedere ad altri.
Quando il divario tra legalità e giustizia si fa cosi sfacciatamente evidente tutti sono chiamati a
prendere una posizione. Ed è quello che io ora vi chiedo.
Grazie della vostra attenzione.
La parte più bella di questa città rifiuta il razzismo e l'indifferenza, e io sono (ancora) lì.
Fabio Gabaglio